Una delle domande più frequenti che emergono quando si intraprende un percorso di crescita personale e ancor di più un percorso di counseling, è questa:
il nostro destino è già scritto oppure possiamo cambiarlo?
È una domanda semplice solo in apparenza, perché al suo interno racchiude una visione del mondo, dell’uomo e della responsabilità personale.
Chiedersi se il destino sia modificabile significa chiedersi se abbiamo davvero potere sulla nostra vita o se siamo semplicemente comparse in una storia già decisa.
Il grande equivoco sul Destino
L’idea di destino, per come viene comunemente intesa, presuppone qualcosa di già stabilito:
un copione scritto prima ancora che tu nasca, una traiettoria obbligata, un insieme di eventi a cui non puoi sottrarti.
Ma se fosse davvero così, cosa ne sarebbe della motivazione?
Che senso avrebbe impegnarsi, studiare, cambiare, affrontare paure e difficoltà, se tutto fosse già deciso?
Un destino immutabile toglierebbe all’essere umano il suo potere più grande: la possibilità di scegliere.
E senza possibilità di scelta non esiste crescita, non esiste evoluzione, non esiste responsabilità.
Nel Metodo M.A.T.R.I.C.E. il destino non viene visto come una sentenza, ma come uno spazio di possibilità.
Non una strada unica da percorrere, ma un ventaglio di direzioni attivabili in base alle scelte, alle consapevolezze e alle azioni che compiamo.
Destino, libero arbitrio e creazione della realtà
Dire che possiamo influenzare il nostro destino non significa negare che esistano condizioni di partenza.
Ognuno di noi nasce in un contesto specifico: una famiglia, una cultura, una situazione economica, un corpo, una storia.
Ma il punto non è da dove partiamo.
Il punto è cosa facciamo con ciò che abbiamo.
Due persone possono partire dalle stesse condizioni e arrivare a risultati completamente diversi.
Questo perché ciò che fa la differenza non è il destino in sé, ma il modo in cui lo interpretiamo e lo affrontiamo.
Il vero potere dell’essere umano è la capacità di creare la propria realtà, dando significato agli eventi, scegliendo come reagire, quali scelte compiere, quali direzioni seguire.
Ed è proprio qui che entra in gioco uno strumento fondamentale del counseling: le domande.
Perché le domande sono più importanti delle risposte
Viviamo in una cultura ossessionata dalle risposte.
Cerchiamo soluzioni rapide, consigli pronti, formule magiche che ci dicano cosa fare per stare meglio.
Ma nel counseling e ancor di più nel Metodo M.A.T.R.I.C.E., il vero potere non sta nel dare risposte, bensì nel fare le domande giuste.
Una buona domanda può aprire uno spazio di consapevolezza che una risposta non potrà mai creare.
Una risposta chiude.
Una domanda apre.
Aprire significa permettere alla persona di esplorare, di riflettere, di portare attenzione su aspetti che prima ignorava o dava per scontati.
Il ruolo del counselor: facilitare, non risolvere
Uno dei fraintendimenti più comuni è pensare che il counselor debba “risolvere i problemi” del cliente.
In realtà, il compito del counselor non è trovare soluzioni al posto dell’altro.
Il counselor non è un giudice, non è un guru, non è un prete che assolve con qualche parola rassicurante.
Il suo ruolo è quello di facilitatore di consapevolezza.
Se un cliente diventa dipendente dalle risposte del counselor, il percorso è fallito.
L’obiettivo non è creare dipendenza, ma autonomia.
Ed è per questo che le domande sono centrali: perché aiutano la persona a trovare le proprie risposte, attingendo alle proprie risorse.
Domande chiuse e domande aperte
Nel secondo incontro del percorso M.A.T.R.I.C.E. abbiamo approfondito la differenza tra domande chiuse e domande aperte.
Le domande chiuse servono a raccogliere informazioni precise e delimitate.
Richiedono risposte brevi, spesso un “sì” o un “no”.
Le domande aperte, invece, invitano la persona a raccontarsi, a esplorare, a portare alla luce il proprio vissuto.
Ed è qui che avviene il vero lavoro del counseling.
Domande come:
-
Quando provi questo disagio?
-
In quali situazioni si manifesta di più?
-
Con chi succede più frequentemente?
-
Cosa accade dentro di te in quel momento?
permettono di individuare il contesto, le dinamiche, i trigger emotivi.
Senza queste informazioni, qualsiasi consiglio sarebbe cieco.
Dal problema alla comprensione
Spesso il cliente arriva dicendo: “Mi sento male”, “Sto vivendo un disagio”, “Ho un problema”.
Ma il problema, così come viene raccontato, è quasi sempre solo la punta dell’iceberg.
Attraverso le domande, il counselor aiuta la persona a scendere in profondità, a comprendere quando, dove e con chi quel disagio nasce, fino ad arrivare alla radice.
Ed è proprio in questo processo che avviene qualcosa di straordinario:
la persona smette di sentirsi vittima del destino e inizia a riconoscere le proprie leve di cambiamento.
Domande e destino: il punto di incontro
Se il destino fosse davvero immutabile, fare domande non servirebbe a nulla.
Ma il fatto stesso che una domanda possa cambiare la percezione di una situazione dimostra che la realtà non è fissa.
Le domande modificano lo sguardo.
E modificando lo sguardo, modificano la realtà vissuta.
Chiedersi “perché mi capita sempre questo?” porta spesso a chiudersi.
Chiedersi “cosa posso imparare da questa situazione?” apre nuove possibilità.
Il destino non cambia perché accade qualcosa di diverso,
ma perché io divento una persona diversa nel modo di affrontare ciò che accade.
Il destino come responsabilità, non come condanna
Nel Metodo M.A.T.R.I.C.E. il destino non è una scusa né una condanna, ma una responsabilità.
Non qualcosa da subire, ma uno spazio da abitare consapevolmente.
Fare le domande giuste significa riprendere in mano il timone della propria vita.
Significa smettere di cercare risposte all’esterno e iniziare un dialogo autentico con se stessi.
Il counselor non cambia il destino delle persone.
Le aiuta a scoprire di avere sempre avuto il potere di farlo.
Ed è proprio da qui che nasce ogni vera trasformazione.


