La Mappa non è il Territorio presupposto PNL

Metodo M.A.T.R.I.C.E.® | 4. La Mappa non è il Territorio

Noi non vediamo la realtà, la interpretiamo.

Nel quarto incontro del percorso Metodo M.A.T.R.I.C.E.® abbiamo affrontato uno dei concetti più profondi, rivoluzionari e spesso fraintesi della Programmazione Neuro-Linguistica: “La mappa non è il territorio”.

Un principio semplice nella forma, ma potentissimo nelle conseguenze, perché mette in discussione uno dei presupposti più radicati dell’essere umano: l’idea che ciò che vediamo, pensiamo e sentiamo coincida con la realtà così com’è.

In realtà, ciò che chiamiamo “realtà” non è altro che una rappresentazione interna, una costruzione soggettiva filtrata dalla nostra storia, dalle nostre esperienze, dai nostri valori, dalle nostre convinzioni e dai nostri processi mentali. Non viviamo nel mondo, viviamo nella nostra mappa del mondo.

Comprendere questo passaggio significa cambiare radicalmente il modo in cui interpretiamo noi stessi, gli altri, i problemi, le relazioni e perfino il concetto di verità.

 

Come facciamo esperienza della realtà

L’essere umano non entra in contatto diretto con la realtà oggettiva. La realtà, per così dire, “grezza”, è troppo vasta, complessa e ricca di informazioni per essere gestita così com’è. Il nostro sistema nervoso è costretto a fare una selezione continua, altrimenti verremmo letteralmente sommersi dagli stimoli.

Ogni secondo veniamo colpiti da milioni di informazioni sensoriali: suoni, colori, odori, sensazioni corporee, movimenti, parole. Il cervello, per permetterci di funzionare, deve filtrare.

È proprio in questo processo di filtraggio che nasce la nostra esperienza soggettiva del mondo.

La PNL descrive questo meccanismo attraverso tre grandi processi fondamentali: cancellazione, generalizzazione e distorsione. Non sono errori della mente, ma strategie di sopravvivenza. Il problema nasce quando dimentichiamo che si tratta di filtri e iniziamo a credere che ciò che resta sia la realtà.

 

Cancellazioni: ciò che non vediamo (ma che esiste)

La cancellazione è il processo attraverso cui eliminiamo dalla nostra percezione una parte enorme delle informazioni disponibili. Se non cancellassimo, non potremmo concentrarci su nulla.

Quando entri in una stanza, non percepisci ogni dettaglio. Noti solo ciò che, in quel momento, per te è rilevante. Il resto sparisce. Non perché non esista, ma perché il tuo cervello lo considera inutile.

Questo vale anche per le relazioni, per i problemi, per le opportunità.

Molte persone dicono: “Non ci sono soluzioni”, “Non vedo alternative”, “Non c’è niente che posso fare”.

In realtà, le soluzioni esistono, ma sono cancellate dalla mappa.

Nel counseling questo è un punto cruciale: il cliente non è privo di risorse, è semplicemente incapace di vederle perché la sua mappa le ha escluse.

 

Generalizzazioni: quando un’esperienza diventa una regola

La generalizzazione è il processo attraverso cui, partendo da una o poche esperienze, costruiamo una regola generale. È un meccanismo che ci ha permesso di sopravvivere come specie: se una volta ti sei bruciato toccando il fuoco, impari che il fuoco brucia.

Il problema nasce quando generalizziamo in ambiti complessi come le relazioni, il lavoro, l’identità.

Mi è andata male una volta, quindi andrà sempre così

“Le persone sono tutte uguali”

“Non sono portato per questa cosa”

Queste non sono verità, sono mappe impoverite.

E più una mappa è rigida, più limita le possibilità di scelta.

 

Distorsioni: quando la realtà viene reinterpretata

La distorsione è il processo attraverso cui modifichiamo il significato delle informazioni che riceviamo. Non vediamo solo ciò che accade, ma gli attribuiamo un senso.

Due persone possono vivere lo stesso evento e trarne conclusioni opposte. Una lo leggerà come un fallimento, l’altra come un’opportunità. L’evento è lo stesso, la mappa è diversa.

Questo dimostra che il problema non è mai l’evento in sé, ma il significato che gli attribuiamo.

 

La realtà non è oggettiva, è soggettiva

Uno dei passaggi più destabilizzanti, ma anche più liberatori, è accettare che non esiste un’unica realtà valida per tutti. Esistono tante realtà quante sono le persone.

Questo non significa che “tutto è relativo” in senso superficiale, ma che ognuno opera sulla base della propria mappa del mondo.

Non reagiamo ai fatti, reagiamo alla rappresentazione che ne abbiamo.

Ed è per questo che due persone, davanti alla stessa situazione, prendono decisioni completamente diverse.

Non perché una abbia ragione e l’altra torto, ma perché partono da mappe diverse.

 

Le mappe guidano le nostre decisioni

Ogni scelta che facciamo, anche la più semplice, passa attraverso una mappa interna.

Quando decidiamo cosa fare, come comportarci, quando agire o quando fermarci, utilizziamo ciò che sappiamo, ciò che crediamo e ciò che abbiamo già vissuto.

Il problema è che spesso crediamo che la nostra mappa sia completa, quando in realtà è solo una versione parziale della realtà.

Questo porta a uno degli errori più comuni: prendere decisioni importanti basandosi su informazioni incomplete, distorte o obsolete.

Se la mappa è povera, il risultato sarà povero.

Se la mappa è rigida, le possibilità saranno rigide.

Se la mappa è vecchia, le scelte saranno fuori tempo.

 

Perché fare esperienza è fondamentale

L’unico modo per arricchire una mappa non è pensare di più, ma fare esperienza.

Le mappe non si aggiornano con la teoria, ma con il contatto diretto con la realtà.

Molte persone vogliono cambiare senza esporsi, senza rischiare, senza mettersi in gioco. Vogliono nuove mappe senza nuovi territori. Ma questo è impossibile.

Ogni esperienza aggiunge informazioni. Ogni confronto amplia la visione. Ogni errore arricchisce la mappa, se viene letto correttamente.

Chi non fa esperienza rimane prigioniero delle proprie convinzioni.

 

La diversità delle mappe: perché siamo tutti diversi

Un altro punto fondamentale emerso nella lezione riguarda la diversità tra le persone. Anche individui cresciuti nello stesso ambiente, come i gemelli, sviluppano mappe differenti. Questo perché non conta solo ciò che accade, ma come viene vissuto.

La stessa frase detta da un genitore può essere interpretata in modo opposto da due figli. La stessa esperienza scolastica può generare sicurezza in uno e insicurezza nell’altro.

Questo dimostra quanto sia illusorio pensare che esista un modo “giusto” di percepire le cose.

 

I sistemi rappresentazionali: come raccogliamo le informazioni

La PNL descrive il modo in cui costruiamo le nostre mappe attraverso i sistemi rappresentazionali principali:

  • Visivo (V)
  • Uditivo (A)
  • Cinestesico (K)

Alcune persone tendono a percepire il mondo principalmente attraverso immagini, colori, forme. Altre sono più sensibili ai suoni, alle parole, ai toni di voce.

Altre ancora vivono la realtà soprattutto attraverso le sensazioni corporee, le emozioni, il contatto.

Questo spiega perché, davanti allo stesso evento, ognuno si focalizza su aspetti diversi: Uno nota ciò che ha visto. Un altro ciò che è stato detto. Un altro ancora ciò che ha provato.

Nessuno ha torto. Ognuno sta semplicemente usando la propria mappa.

 

Le opinioni nascono dalle mappe

Quando vediamo qualcosa e ci facciamo un’opinione, non stiamo giudicando la realtà, ma la nostra rappresentazione della realtà.

Ecco perché le discussioni spesso diventano scontri: ognuno difende la propria mappa come se fosse il territorio.

Capire questo è fondamentale nel counseling, ma anche nella vita quotidiana.
Non stiamo discutendo sui fatti, ma sulle interpretazioni.

 

Il grande errore nelle relazioni e nel counseling

La maggior parte delle persone parte dal proprio punto di vista. Utilizza le proprie mappe per decidere cosa fare, come comportarsi, cosa dire agli altri.

Questo atteggiamento, però, è estremamente limitante, soprattutto nel lavoro di aiuto.

Quando un counselor utilizza la propria mappa per interpretare ciò che dice il cliente, commette un errore grave. Non sta ascoltando il cliente, sta ascoltando se stesso.

Nel counseling non possiamo usare le nostre mappe per capire il problema dell’altro. Dobbiamo entrare nella mappa del cliente.

Questo significa sospendere il giudizio, mettere da parte le nostre interpretazioni, fare domande, esplorare, chiarire.
Solo così possiamo comprendere davvero cosa l’altra persona sta vivendo.

 

Dal “capisco” al “comprendo”

Dire “capisco” spesso significa “lo traduco secondo la mia mappa”. Comprendere, invece, significa avvicinarsi alla mappa dell’altro, senza sovrapporla alla propria.

Questo passaggio è ciò che distingue un vero counselor da chi dà consigli.

 

Arricchire le mappe per ampliare le possibilità

Se la mappa determina le scelte, allora il vero lavoro di crescita non è cambiare la realtà, ma arricchire le mappe. Più informazioni abbiamo, più alternative vediamo. Più alternative vediamo, più libertà abbiamo.

Non esistono persone bloccate. Esistono mappe povere.

Il Metodo M.A.T.R.I.C.E. lavora proprio su questo: aiutare le persone a rendere le proprie mappe più ampie, flessibili e funzionali.

 

Non cambiare il territorio, cambia la mappa

“La mappa non è il territorio” non è solo un concetto teorico. È una chiave di lettura della vita.

Significa smettere di combattere la realtà e iniziare a comprendere come la stiamo rappresentando.

Quando cambiamo mappa, il mondo sembra cambiare. Siamo noi a vederlo diversamente.

Ed è proprio da qui che nasce ogni vero cambiamento.

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